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Gli anziani, rievocando i tempi passati, fanno spesso riferimento alla sconfinata distesa di acqua stagnante che si situava lungo la costa jonica tra Salve ed Ugento. Menzionano l’impossibilità di soggiornare in quei luoghi a causa dell’infezione malarica, l’impossibilità di coltivare la terra perché sommersa dagli stagni fetidi ed il difficile cammino da intraprendere per recarsi in quelle zone, viste le impervie asperità fisiche del paesaggio e la mancanza di vere strade.

 

L'intento di questa pagina web, dedicata a tutti gli appassionati di storia locale, è quello di ripercorrere le tappe salienti che hanno portato al definitivo recupero di quel territorio.

 


 

La malaria

 

Lungo un arco storico millenario la malaria è stata, per le popolazioni mediterranee, uno dei più irriducibili nemici dell’uomo.

Malattia per eccellenza dell’ambiente, essa ha opposto spesso ostacoli insormontabili alla presenza umana sulla terra, ha pesantemente condizionato la vita delle popolazioni e la potenzialità produttiva del lavoro nelle pianure.

L’azione preventiva contro la malaria, condotta con la diffusione del chinino nelle campagne segna un momento fondamentale nella storia delle bonifiche in Italia. Non si dimentichi che le cifre ufficiali davano, sino al 1895, una media di 15.000 morti l’anno.

La malattia deve il suo nome al fatto che nei secoli scorsi veniva attribuita ai miasmi (mal-aria) dell’aria umida e malsana delle pianure coperte di acquitrini e paludi.

Infatti si era notato che l’infezione malarica infieriva nelle zone acquitrinose e paludose, proprio in quelle zone dove si riproduceva, depositando le uova sul pelo dell’acqua, la zanzara anofele. La malaria, dovuta a protozoi chiamati plasmodi della malaria, veniva trasmessa dall’individuo malato a quello sano tramite la zanzara anofele femmina. L’uomo, una volta ammalato, era facilmente soggetto ad altre infezioni, quali il tifo, la tubercolosi, la broncopolmonite, ecc..

La somministrazione del chinino, estratto da una pianta delle Ande, era il modo più pratico, e spesso l’unico, per combattere l’infezione. La bonifica del terreno palustre invece, era il sistema per impedire la riproduzione della zanzara.

Ma il più delle volte la sola bonifica idraulica poteva non bastare; ad essa doveva necessariamente seguire una bonifica di tipo agrario.

 


     

Breve storia dei progetti e dei primi tentativi di bonifica.

L’impegno dei governi Borbonici

 

Sin dalla metà del 1700 il governo borbonico di Carlo III cercò di interessarsi del problema, ordinando all’Università di Ugento di intervenire in qualche modo per risolvere la grave situazione ma, in assenza di fondi e di conoscenze tecniche appropriate, venne realizzato esclusivamente un canale di deflusso che scaricava in mare le acque delle paludi poste fra la Masseria Mammalie e Torre S. Giovanni.

 

Durante il regno di Ferdinando II furono realizzati altri canali che dalla palude sfociavano a mare.

In quegli anni Carlo Afan de Rivera, direttore dell’amministrazione generale di ponti e strade del governo borbonico, mise a punto una legge che potesse, tramite il prosciugamento delle acque stagnanti, incrementare il lavoro e la vivibilità nelle province paludose.

Con questo intento si giunse al Regio Decreto dell’ 11.05.1855, emanato dal Ministro Morena che rappresentò il primo organico provvedimento per le bonifiche, la sistemazione idraulica, il rimboschimento e l’incremento dell’agricoltura, ma che rimase però inattuato a causa della sopravvenuta fine del regno borbonico.

   


 

Progetti incompiuti - Dall’Unità d’Italia sino al 1882

 

Nel periodo post-unitario vengono effettuati vari studi, progetti ed elaborati tecnici, ideati dai diversi ingegneri incaricati dai vari enti locali e governativi.

Fra questi il progetto dell’ing. Michele Lopez del 1867, il piano dell’ing. Antonio Viti nel 1869, l’interpellanza dell’ing. Mariani del 1871, il piano dell’ing. Sarlo del 1880. Tutti però, purtroppo, non ebbero realizzazione e restarono solo sulla carta.

La svolta all’annosa questione sembrò arrivare con la Legge Baccarini nel 1882 che affidava al governo la tutela e l’ispezione sulle opere di bonifica di laghi e stagni, delle paludi e delle terre paludose.

  


 

Descrizione delle paludi situate in territorio di Salve

 

Nel novembre del 1883, nella relazione dell’ingegnere Pasanisi di Ruffano, vennero per la prima volta elencati con precisione gli acquitrini, la loro denominazione e quella dei proprietari dei fondi ove questi si estendevano.

Vediamo come il Pasanisi descrive le paludi del territorio di Salve:

 

" (…) Nel versante che guarda la costa occidentale di Acquarica del Capo, Presicce e Salve, presso le dune del mare, si distende da nord-ovest a sud-est, la regione paludosa distinta col nome Pali. Si succede da Torre Mozza fino alla ‘Conca della rena’ , tutto terriorio di Salve. Questa può definirsi una laguna poiché anche nei luoghi dove non sono apparenti gli stagni, per l’impermeabilità del terreno, essendo argilloso nel generale, sono sempre umide ed in fermento, produttori perciò di nocive esalazioni.

La superficie dell’impaludamento è di ettari 127. Lo scolo delle acque dei terreni macchiosi sovrastanti è tale che introducono sempre sostanze minute fertilizzanti. Il livello di esse è in buona parte al di sotto del livello del mare e di quello dei terreni vicini.

Da T. Mozza a sud, ove principia il territorio di Salve, vi è la palude di proprietà comunale, di circa 2,5 ettari che si estende da ovest ad est, la quale si prosciuga nei mesi estivi in buona parte.

L’altra, di ettari 80, appartiene al duca di Salve Winspeare; le acque si elevano sino a due metri in altezza in inverno.

In seguito alla precedente vi è quella del sig. Foscarini di ettari 10, sottoposta al livello del mare ed alimentata dalle acque di questo.

Le paludi del sig. Ramirez di ettari 5 sono, come la precedente, in parte coltivabili in estate. In inverno, invece, l’impaludamento sale a 60 cm. di altezza.

Succede a questa la palude della ‘Conca della rena’ di ettari 2, del sig. Notar Ponzetta, che ha foce a mare e si solleva a 75 cm. nella stagione delle piogge.

Del sig. Foscarini seguono in ultimo le paludelle di circa ettari 5, sottoposte al livello del mare con foce che comunica esso. Le acque raggiungono 60 cm. in inverno e parte di questa si prosciuga d’estate."

 

Le paludi nei pressi di Torre Pali

all' inizio del secolo scorso


   

   

La costa da Torre Pali a Posto Vecchio prima delle opere di bonifica delle paludi.
Mappa del 1901 conservata presso l'Archivio di Stato di Lecce. Elaborazione di Giulio Rosafio
   

 

Progetti incompiuti – Dal 1893 alla Grande Guerra

 

Un altro studio degno di nota fu realizzato dall’ingegnere incaricato dal Comune di Ugento, Giuseppe Epstein, nel 1889.

Ma tutti i progetti elaborati, come detto, praticamente non ebbero realizzazione, restarono solo sulla carta. E’ d’obbligo allora chiedersi: quali furono i motivi di questa mancata concretizzazione degli studi fatti?

Due sono le risposte: il continuo conflitto tra il Governo dello Stato ed il Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto ma, soprattutto, gli infiniti scontri e le inconcludenti polemiche tra gli stessi componenti dell’amministrazione Provinciale.

Un nuovo studio fu messo a punto nel 1903; il piano di risanamento dei terreni impaludati prevedeva, come era naturale, un elenco di espropriazioni, riguardanti il suolo agricolo da occupare con lo scavo dei canali e con la costruzione della strada di servizio.

Ma le numerose critiche al progetto unite alle pastoie burocratiche fecero sì che questo venisse rimbalzato tra Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Ufficio del Genio Civile di Lecce, Commissione Centrale per le bonifiche ed amministrazione provinciale dal 1909 al 1915.

Arrivo così la Prima Guerra Mondiale, ma del risanamento dei luoghi infetti dal miasma palustre non si vedeva soluzione e nei comuni di Ugento, Salve, Presicce, Acquarica del Capo, Alliste, molte persone ogni anno venivano colpite da febbri malariche ed un cospicuo numero di esse moriva per tale infezione.

  


  

La Legge Serpieri e la ‘bonifica integrale’ Fascista

 

Nel primo dopoguerra il problema del risanamento delle paludi fu ripreso dal Fascismo.

Il primo atto concreto in tal senso fu la Legge Serpieri del 1923 (Regio Decreto n° 3256 del 30.12.1923) con la quale si inaugurò una nuova normativa definita della "bonifica integrale".

 

Il nuovo concetto base di questa legge consisteva nell’affermazione secondo la quale la bonifica non si esauriva con l’esecuzione del prosciugamento, ma andava coordinata da un lato con la sistemazione del territorio e dall’altro, dove vi era la possibilità, con la produzione di forza motrice, con l’irrigazione e con l’apertura di strade di collegamento, in modo da mettere in comunicazione i comprensori con i centri abitati, dotandoli di acqua potabile e di energia elettrica, oltre ad una vasta opera di rimboschimento.

Si disponeva inoltre che i Ministeri dell’Interno, dell’Economia e dei Lavori Pubblici, assegnassero delle somme da destinare allo studio, alla ricerca scientifica ed alla lotta contro la malaria.

 

A completamento della Legge Serpieri sulla bonifica integrale, furono emanate delle disposizioni contenute nel Real Decreto del 18.05.1924 in cui si consentiva, per la prima volta, la formazione di consorzi oltre che tra soli proprietari, anche tra enti pubblici o fra enti pubblici e privati e persone fisiche.

Un ruolo fondamentale per la promozione delle bonifiche nel Mezzogiorno, venne poi svolto dal Comitato Promotore dei Consorzi di bonifica e d’irrigazione in Italia meridionale ed insulare, istituito a Roma il primo febbraio 1925. 

  


 

Costituzione del Consorzio di Bonifica "Mammalie, Rottacapozza e Pali".

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Decreto del 1927

 

Con l’emanazione della Legge Serpieri del 1923, i proprietari di terreni paludosi, in passato poco disponibili, si videro costretti a rispettare ciò che il regime indicava.

Venne così costituito il Consorzio di bonifica Mammalie, Rottacapozza e Pali, riconosciuto dal Ministero dei Lavori Pubblici con Regio Decreto del 30.06.1927.

 

Il 25 novembre dello stesso anno venne eletto presidente dell’assemblea del consorzio Alessandro Lopez Y Royo, mentre segretario fu nominato l’avv. Alvaro Basurto.

Il Consorzio, con delibera del 10.06.1928 assunse con un contratto l’ing. Ubaldo Stea di Casarano e gli affidò l’esecuzione di uno studio per stabilire tutte le proprietà ricadenti nel comprensorio di bonifica.

 

Fu quindi affidato all’ingegner Velio Princivalle di Roma, il mandato di studiare e compilare il piano definitivo per il tipo di risanamento da attuare alle paludi del consorzio di Ugento, mentre al prof. Antonio Bianchi venne affidato lo studio del piano di trasformazione fondiaria del comprensorio.

Svolto il suo studio nel territorio, il professore consegnò alla dirigenza dell’ente la sua relazione. Il progetto di trasformazione fondiaria del Bianchi si fondava sull’appoderamento e sulla costruzione di piccole case coloniche sugli appezzamenti di terreno da affidare alle famiglie contadine, in modo da far stanziare gli agricoltori sulla terra da coltivare.

Questo studio, però, non venne realizzato in quanto il prof. Bianchi fu sostituito nel compito dal professor Attilio Biasco che ottenne l’approvazione del suo studio da parte dell’assemblea del Consorzio nella seduta del 19.09.1933.

Il progetto di bonifica dell’ing. Princivalle venne invece terminato e consegnato il 30 marzo del 1930.

 


 

Il progetto di bonifica dell'ingegner Princivalle

 

Il progetto presentato dall’ingegner Princivalle prevedeva la costruzione di due canali a marea.

Un primo canale doveva attraversare il gruppo di paludi tra Torre S. Giovanni e Torre Mozza, le quali erano: Suddenna, Bianca, Olmo, Longa Rottacapozza e Sponderate. Il canale in questione doveva avere una larghezza del fondo di 10 metri, sponde di 45° ed una lunghezza complessiva di 7,722 Km con foci a mare agli estremi, ossia presso Torre S. Giovanni la prima e Punta Macalone (oggi Lido Marini) la seconda.

 

 

Opere di bonifica nel comprensorio di Ugento

 

L’altro canale a marea si doveva sviluppare lungo le paludi Pali e Chiara ed avere una larghezza del fondo di metri 8, sponde di 45° ed uno sviluppo in lunghezza di Km 2,780. Le foci erano poste agli estremi, la prima nella insenatura di Torre Pali a nord-ovest e la seconda presso Posto Vecchio (oggi località ‘Cabina’) a sud-est.

Per quanto concerneva le paludelle Foscarini e Conca della rena, situate verso sud-est, venne previsto nel progetto, lo scolo a mare mediante colatori superficiali.

Un altro punto importante toccato dal progettista fu quello della rete stradale; un comprensorio nel quale si prevedeva un tipo di agricoltura di tipo moderno doveva, per forza di cose, essere dotato di una rete viaria efficiente.

Il progetto di massima prevedeva una rete stradale di circa 60 Km., fra vecchie strade da riadattare e strade da costruire ex novo. Queste nuove strade dovevano prima di ogni cosa collegare il comprensorio con i centri abitati vicini, quali Ugento, Gemini, Felline, Alliste, Acquarica del Capo, Presicce e Salve.

Era inoltre prevista una strada longitudinale litoranea che doveva costeggiare il terreno risanato dalle paludi, avere origine dalla già esistente strada Ugento – T. S. Giovanni e terminare collegandosi con la nuova direttrice che doveva essere costruita tra Posto Vecchio (oggi Marina di Pescoluse) e Salve. Un’altra strada, chiamata "via della Palombara", doveva essere costruita parallela alla litoranea e collegare tutti i territori non costieri di Ugento, Acquarica, Presicce e Salve.

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Progetto di bonifica:

planimetria generale

 

Il progetto prevedeva ancora la costruzione di 15 caselli di bonifica con tre locali adibiti ad abitazione e due villaggi agricolo-operai, con undici abitazioni per ognuno, in più la Chiesa, la scuola, e la Caserma dei Reali Carabinieri.

Il progetto fu diviso in diversi lotti esecutivi; il primo lotto prevedeva solo opere stradali e precisamente la costruzione della strada litoranea tra Torre S. Giovanni e Posto Vecchio, per una lunghezza di 12, 232 Km. ed una larghezza di metri 7,00.

 

Dopo alcune modifiche al progetto suggerite dal Comitato Tecnico Amministrativo, il 17 marzo del 1932 Vittorio Emanuele III Re d’Italia decretava l’esecuzione del primo stralcio del primo lotto delle opere del del comprensorio del Consorzio di bonifica, consistenti nella costruzione delle strade previste nel progetto, delle ricerche delle acque salse e dell’apertura del relativo pozzo per un importo di lire 2.000.000.

Schema della

Villaggio rurale:

disposizione di un

piante e prospetti

villaggio rurale

 


 

Esecuzione delle opere di bonifica del comprensorio

 

I lavori del primo stralcio del primo lotto furono assegnati in appalto alla ditta geom. Domenico Di Paola nel maggio del 1932 e realizzate dopo circa due anni.

Il secondo stralcio dei lavori, concesso con decreto ministeriale del 23.02.1933 interessava la costruzione di:

  • litoranea T.S. Giovanni – Posto Vecchio;

  • strada Acquarica del Capo – Torre Mozza;

  • strada Presicce – Torre Pali;

  • strada Salve – Posto Vecchio;

  • due caselli di controllo sulle opere.

Allo stesso stralcio venne poi aggiunta l’edificazione dei muretti a secco di delimitazione delle proprietà rimaste aperte a causa del passaggio della via litoranea.

Questi lavori furono terminati il 12 novembre 1936.

 

A questo punto il Consorzio chiese al Ministero dell’Agricoltura e Foreste, direzione per la bonifica integrale, la concessione del secondo lotto dei lavori concernenti la costruzione dei canali a marea e l’esecuzione delle colmate di alcune depressioni.

I lavori vennero così assegnati all’impresa Società Anonima Italiana "Ferrobeton" con contratto del 10.09.1934, ma soltanto nel maggio del 1936 il Consorzio riuscì ad ottenere il finanziamento necessario da parte del Consorzio Nazionale per il Credito Agrario di Miglioramento.

 

   

Canale a marea con bacino non ancora completato (visibile l'ultima palude in via di bonifica) nel 1943

      


       

 

Canale a marea e bacino di Torre Pali a fine anni '90

   

Si diede così il via definitivo ai lavori di risanamento del territorio che, interrotti durante la guerra, furono poi portati a termine negli anni ’50 grazie ai fondi della Cassa per il Mezzogiorno.

   


 

Le fonti storiche sono tratte dalla Tesi di Laurea

 

"L’attività del Consorzio di Bonifica di Ugento negli anni 1927 – 1937"

di Mino Lezzi

  

Università degli Studi di Lecce - Anno Accademico 1997-1998 

 


 

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